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Totò Sammataro I.N.S.

… e dire, che per caso, non vi rimasi dentro per sempre

Totò Sammataro I.N.S.

Non è facile celebrare i cinquanta anni di storia della Scuola Nazionale di Speleologia del Club Alpino Italiano senza rischiare d'essere autocelebrativi, specialmente se a farlo è un appassionato dell'ambiente sotterraneo che ha fondato la propria formazione, maturità e carattere nel corso di buona parte del cinquantennio di vita della Scuola.
Sento pertanto l'obbligo morale di raccontarvi del mio passato, dell'itinerario percorso per diletto ed interesse formativo, perché tale esperienza, che ha generato in me un benessere impagabile, possa restare uno dei mille esempi di quanto la Scuola Nazionale di Speleologia CAI nei suoi 50 anni di attività, ha prodotto con l'incessante azione didattica e divulgativa.

La mia esperienza speleologica, inizia nel 1961; a quel tempo frequentavo l'Istituto Statale d'Arte di Palermo, ed in occasione di un'escursione alla grotta Addaura, organizzata da una compagna di classe, tale Tatiana D'Ancaux, ho avuto l'opportunità di addentrarmi in un ambiente sotterraneo naturale. Avevamo sentito parlare del ritrovamento di resti fossili e con curiosità pensavamo di fare anche noi delle scoperte. Non so gli altri, ma io non sapevo cosa fossero i fossili, né, tanto meno, una grotta; mi attraeva però la natura e il fascino dell'ignoto. In seguito, vi ritornai spesso con alcuni compagni, ma con scopi poco onorevoli per uno speleologo: si saccheggiava delle concrezioni calcitiche una cavità accessibile a ragazzi sprovveduti e poco attrezzati, ma fortemente impegnati nel ricercare una qualche soddisfazione. Spesso però, tutto quanto si era precedentemente asportato dall'interno, una volta fuori dall'ambiente della grotta, si lasciava quasi tutto per terra. L'ignoranza governava, raramente portammo a casa concrezioni degne d'attenzione e man mano abbandonammo, visti i risultati, pure l'idea di staccarle, innescando in alcuni l'idea di fotografarle nel proprio ambiente e conservarne la sola immagine.
E dire, che la prima volta ci stavamo rimanendo dentro per via della candela che, colpita da una scheggia di concrezione rotta nei pressi, si spense improvvisamente e ci lasciò per alcuni interminabili minuti al buio, immersi in un ambiente labirintico e distante un centinaio di metri dall'ingresso. Ma quella che doveva essere l'esperienza traumatica, come lo è stata per alcuni che mai più entrarono in grotta, per me risultò stimolante, tanto da spingermi alla ricerca di sistemi più sicuri ed efficienti per continuare a frequentare quell'ambiente.
La fantasia non ci mancava, riuscivamo a sopperire alla mancanza di attrezzatura personale, consistente in qualche lampada a pile, facendo colletta tra gli audaci che dovevano intraprendere le nuove esplorazioni di cavità a noi sconosciute. Il gruppo era affiatato e riusciva a programmare escursioni che man mano si addentravano sempre più nell'ormai famosa grotta. Era un bel da fare durante la settimana, una ricerca spasmodica di lampade tascabili che illuminassero meglio e di pile che durassero più a lungo. Non mancava quasi mai la candela d'emergenza ed il "filo d'Arianna", che era steso sin dall'ingresso e riavvolto in uscita. Per quel gruppo, cui io appartenevo, esistevano però le sole grotte orizzontali, più o meno complesse, perché nessuno, neanche a scuola aveva mai parlato di altre tipologie di cavità. Passarono circa 8 anni prima che qualcuno, informato della nostra esperienza, nell'estate del 1969 ci invitasse al CAI per conoscere uno che di grotte ne sapeva! Il tale, il nostro Giovanni Mannino che in un primo momento per noi fu difficilissimo avvicinare data la sua importanza, in seguito si scoprì essere una persona abbastanza disponibile.
L'avvicinamento al Club, fu la formula vincente, infatti, anche se Mannino era irraggiungibile, si è avuta l'occasione di consultare il Catasto e con le indicazioni delle schede, ritrovare alcune altre grotte nei dintorni della città. Siamo ormai nel periodo primaverile del 1970, si ha notizia del Corso Nazionale che si terrà di li a poco a Perugia ed al quale partecipammo io ed Umberto Oliveri altro collega del gruppo. Quale occasione migliore per apprendere qualcosa? Quale fortuna oserei dire, visto il seguito.
Sono i primi anni della Scuola Nazionale di Speleologia del CAI, che nasce nel 1958, il primo corso è del 59 a Trieste e questo di Perugia rappresenta il primo realizzato con Istruttori titolati per merito od esame, vi partecipa un gruppo di allievi provenienti da diverse realtà italiane ed è svolto un programma di tutto rispetto sia per la parte teorica, di cui conservo ancora gli appunti, sia per la parte pratica arrivando a quota – 500 m allora profondità ragguardevole.
Sento parlare per la prima volta e con interesse di geologia, di morfologia carsica, di rilievo ipogeo, di meteorologia, di fauna e flora adattate all'ambiente sotterraneo, di responsabilità giuridica, di organizzazione di gruppo, ma quel che più conta, sento finalmente parlare di tecnica, attrezzatura e percorro per la prima volta ambienti verticali.
L'esperienza, inutile dire, è stata sconvolgente per la mia coscienza che in tanti anni mai era stata sfiorata da una riflessione sulle devastazioni operate; là, finalmente avevo appreso dei tempi geologici per la formazione delle cavità, della peculiare fragilità delle concrezioni e dell'importanza della loro conservazione e protezione nell'ambiente naturale. Inaspettatamente, mi si apriva un nuovo mondo, interessante e da conoscere, un ambiente naturale infinito, affascinante, sconosciuto ai più e frequentato da persone con le mie simili aspettative, molto più impegnate però nella ricerca e meno forse nel godimento estetico, attente in ogni caso, all'esperienza comune per una crescita dello spirito e dei valori sociali.

Questa, per molti di voi, noiosa storiella d'una povera esperienza, è l'esempio d'un percorso che ha avuto una svolta positiva solo perché in un certo momento evolutivo si è presentata l'occasione di incontrare la didattica della Scuola Nazionale di Speleologia CAI. L'esempio di quanta importanza può assumere l'informazione corretta al momento giusto, del valore morale acquisito dal Club Alpino Italiano, al di là di tutti i poteri assunti dalle cosiddette associazioni "no profit" per legge e di ultima generazione. Chissà quanti altri giovani non informati continuarono e continuano a devastare? Quanti altri hanno abbandonato ed abbandonano l'idea esplorativa per ignoranza o per il sopravvento della paura ancestrale, per cui molti si dicono claustrofobici, e quanti altri, hanno pure perso la vita, sopravvalutando le proprie conoscenze e qualità tecniche?
La Scuola Nazionale di Speleologia come didattica, prima esperienza che ho voluto rivivere, l'ho incontrata per caso, quando ancora era alla ricerca d'una vera forma strutturale, ma già, gioiva della qualità dei promotori. Inconsciamente la ricercavo nell'ambiente sotterraneo per un godimento spirituale ma razionale della visione, perché da sempre affascinato dalla natura. Il suo incontro, rispondendo alle mie aspettative, ha suscitato l'interesse incondizionato che a distanza di 38 anni mi tiene ancora impegnato in forma attiva.
La sua azione paragonabile ad una missione volontaria, regolata dalle forme istituzionali democratiche, si distingue per la serietà dei suoi componenti, costantemente impegnati nel far parte di un Gruppo sezionale per istruirlo e condurlo in sicurezza, nell'aggiornamento ed approfondimento in tutte le materie inerenti al mondo sotterraneo, nel rispetto della propria preparazione culturale, ma sicuramente, nell'unica forma tecnica e nell'atteggiamento di disponibilità al servizio sociale.
Missione può quindi intendersi tutta l'azione che lo speleologo CAI, per il tramite della Scuola o, grazie ai suoi stimoli, svolge durante le ricerche, le esplorazioni, i rilevamenti degli ambienti ipogei, la divulgazione delle conoscenze acquisite, l'auto formazione e la formazione dei giovani interni ed esterni al Club, l'aggiornamento dei quadri. Nello stesso modo può intendersi la sua azione durante la realizzazione di progetti mirati, alla ricerca della fruizione sostenibile del bene naturalistico ed ambientale ed alla salvaguardia delle falde acquifere che ultimamente, ed a ragione, incontrano gli interessi delle comunità locali sempre più impegnate nella valorizzazione dell'ambiente.

Ancor più, missione volontaristica può essere riconosciuta l'azione svolta dalla SNS nel perseguire studi scientifici di tutto rispetto nel campo sperimentale della ricostruzione del fenomeno fisico-chimico del carsismo epigeo ed ipogeo, come in quello dell'evoluzione morfologica dell'ambiente sotterraneo e nella proposta tecnica di progressione che dopo cinquanta anni d'esperienza, dibatte, come allora, nel ricercare il modo migliore e più sicuro di progredire.

È corretto ricordare a noi stessi prima che ad altri, che la Speleologia organizzata, ed in seguito la Scuola Nazionale di Speleologia, sono nate in ambiente CAI. Essa costantemente si trova all'avanguardia per tutto ciò che le compete. Anche per il catasto, si può ben dire la stessa cosa, per la sua intuizione iniziale, solo che per un coinvolgimento di gruppi non CAI si è lasciato l'onere del Coordinamento alla Società Speleologica Italiana, nel frattempo istituita. Oggi, l'azione di raccolta dati in modo preponderante continua ancora attraverso i gruppi delle Sezioni CAI, soffrendo per la mancanza d'un più attento coordinamento nazionale. La SNS, è stata prima, nell'individuare e mettere a regime una tecnica di progressione basata sull'utilizzo di attrezzature sempre più sofisticate e sicure: scalette con cavetti in acciaio da mm 2,5 e gradini in duralluminio di ridottissime dimensioni al posto delle sartie in canapa e dei gradini in legno, bloccante e discensore per sole corde, l'uso dei chiodi ad espansione autoperforanti collegati con bulloni a placchette, l'uso della piattaforma ragno per la risalita, i sistemi di recupero uomo ad uomo su corda, le prove dei materiali dapprima in forma empirica e successivamente con il sofisticato laboratorio a trazione lenta del Centro Nazionale di Speleologia di Costacciaro (PG) che ha portato alla pubblicazione dell'ormai famoso "Libro giallo", agli svariati corsi di specializzazione e aggiornamento realizzati a fianco dei Corsi di perfezionamento tecnico, propedeutico all'esame IS come pure gli ormai istituzionali esami d'accertamento IS ed INS per l'ampliamento dei quadri istruttori.
È nel suo ambito che si è innescata la volontà dei docenti di autoaggiornarsi, realizzando i numerosi corsi di "Specializzazione", nelle materie più disparate che però riguardano da vicino l'ambiente sotterraneo, ed è pure nel suo ambito che è nata l'idea di esportare con progetti finanziati dalle Amministrazioni pubbliche, la didattica di formazione interna verso l'ambiente esterno delle scuole d'ogni ordine e grado, oggi forse inflazionata dalle numerose proposte delle diverse associazioni ambientaliste. Come pure, nel suo ambiente è nata l'idea dei raduni internazionali di speleologia oggi dilaganti o l'idea congressuale biennale portata avanti in collaborazione con la Società Speleologica Italiana e che per alcuni anni ha tenuto dritto il timone verso le nuove ricerche. È anche dal nostro ambiente che è nata l'idea specializzante dei volontari del soccorso di cui oggi purtroppo si è inflazionata la presenza in tutti i comuni, o la formazione delle squadre speciali dei Vigili del Fuoco e i loro stessi corsi "SAF".
La SNS, che ho incontrato nel 1970, ed alla quale mi sono accompagnato passo passo sino ad oggi, pur se nell'età matura e colma del suo bagaglio d'esperienze dei primi cinquanta anni, è ancora pronta ad intraprendere con maggior vigore l'azione di formazione dei giovani. Il suo impegno, sempre più rivolto all'esterno del Club ha una duplice valenza ideale, intervenire nel settore della ricerca svolgendo per intero la missione tecnica e rispondere alle aspettative del sociale, ed intervenire nelle scuole con l'azione divulgatrice per diffondere la conoscenza e soprattutto la salvaguardia del meraviglioso ambiente.

Da allora, compresa la lezione, il mio impegno nel CAI si è concretizzato nel divulgare quanto più possibile la conoscenza acquisita e spingere i vicini a partecipare ai vari corsi che si svolgono annualmente con la struttura della Scuola Nazionale di Speleologia. Oggi, nella veste del maggiore responsabile della struttura, sento di augurare, a nome di tutti i titolati, mille anni di radioso futuro e profonde esplorazioni, convinto che l'esperienza della didattica CAI, che sempre più si imporrà all'attenzione delle comunità locali, maggiormente sarà ritenuta indispensabile nella formazione dello spirito naturalista delle future generazioni.

Estratto dal libro "50 anni di speleologia della Scuola Nazionale di Speleologia CAI 1958 - 2008"
a cura di Pino Guidi, Francesco Salvatori e Totò Sammataro